Il turismo spaziale diventerà presto una realtà consolidata. Uno studio ne analizza l'impatto ambientale e avverte: i viaggi spaziali vanno inseriti negli accordi internazionali sul clima.
Ufficialmente nato l’11 Luglio 2021 col primo volo civile della Virgin Galactic di Sir Richard Branson, il turismo spaziale fa parlare di sé a diversi livelli. E se c’è chi insiste con lo sterile argomento per cui l’esplorazione spaziale sia uno schiaffo alla miseria del mondo, non mancano ben più validi argomenti in ambito economico, etico ed ambientale.
Ci si è chiesti infatti sin dall’inizio quale sarebbe stato l’impatto economico globale del fenomeno turismo spaziale, mentre ben poca attenzione è stata sino ad oggi riposta nell’analizzare le conseguenze ambientali di un prossimo "traffico" suborbitale.
Il turismo spaziale: un indotto di 4 miliardi di dollari entro il 2030
Branson ha viaggiato in suborbita sulla sua nave targata Virgin Galactic, seguito a qualche giorno di distanza da Jeff Bezos, che ha portato "nello spazio" il più giovane e la più anziana astronauta di sempre.
I piani commerciali di Virgin Galactic e Blue Origin sono diversi ma piuttosto chiari: il concept di Branson passa per l’enorme aerodromo costruito nel deserto – una sorta di aeroporto per viaggiatori spaziali – ed intende raggiungere un servizio regolare nel 2022.
Con oltre 600 prenotazioni già in cassa, nonostante il costo di 250.000 dollari a biglietto, non sarà difficile per Virgin Galactic mantenere la promessa.
Bezos sembrerebbe al momento più interessato ad un posto nel programma Artemis, ma Blue Origin ha certamente i suoi piani per il prossimo futuro.
Secondo gli analisti, l’industria del turismo spaziale andrà a valere oltre 4 miliardi di dollari entro il 2030.
Lo scenario è vario e complesso: il fenomeno del turismo spaziale si nutre di diversi progetti, differenti visioni dello spazio e – cosa non di poco conto – di mezzi estremamente diversi tra di loro. Un’analisi dell’impatto ambientale del turismo spaziale deve quindi tenere conto delle differenze, per essere ragionevole.
I razzi non sono tutti uguali, e neanche le emissioni
Un recente studio sull’impatto ambientale dei voli spaziali commerciali viene dall’Università del New South Wales, e non nasconde le difficoltà di raccogliere in un unico ragionamento i dati di mezzi e strumenti così profondamente diversi tra loro.
Come specifica Simit Raval, co-autore della ricerca, "nei viaggi spaziali, incluso il turismo, l’impatto ambientale dipende da una varietà di fattori che sono specifici di ogni missione".
In tal senso, il progetto di Bezos è quello che preoccupa meno: almeno in termini di impatto ambientale, il patron di Amazon pare stia giocando meglio degli altri, proponendo un motore a razzo alimentato ad idrogeno e ossigeno liquido – emissioni: vapore acqueo.
Diverso il caso del vettore di casa Space X, Falcon 9, che usa come propellente un misto di ossigeno liquido e RP-1, un combustibile molto simile al cherosene che certo non è l’ideale come punto di partenza per un turismo spaziale eco-friendly.
Peggio di tutti, nonostante la bellezza del concept, Virgin Galactic di Branson: il motore della SpaceShipTwo è un ibrido alimentato da carburante liquido e gomma allo stato solido.
Secondo Paul Peeters, professore all’Università delle Scienze Applicate di Breda, "se i razzi ibridi – che sono relativamente economici – diventano popolari, possiamo aspettarci un disastro climatico e ambientale".
Gli effetti principali del turismo spaziale sull’ambiente sono certamente legati, secondo lo studio di Raval, al riscaldamento globale e alla perdita dello strato d’ozono che protegge il pianeta dai raggi UV.
Studiare l’impatto ambientale prima che sia tardi
Ancora poco presenti in letteratura, secondo la ricerca i motori a combustibile liquido sembrerebbero avere un minore impatto sull’ozono rispetto agli ibridi del tipo SpaceShipTwo o ai motori che bruciano componenti solide.
Lo studio considera inoltre fattori che possono sembrare marginali ma che invece sono estremamente rilevanti per la salvaguardia dell’ambiente: la costruzione di spazioporti, che probabilmente verranno raggiunti dai ricchi turisti spaziali su jet privati, può incidere pesantemente sull’inquinamento della zona.
È stato già il destino del cosmodromo Baikonur in Kazakistan, gravemente inquinato dall’uso di propellenti del tipo UDMH usati dai motori della Soyuz.
Le conseguenze dei viaggi spaziali sull’ambiente, in particolare sulla perdita dello strato d’ozono, vanno secondo Raval indagate con la massima attenzione "prima che i lanci diventino più frequenti".
Il protocollo di Montréal che impediva le emissioni più pericolose per lo strato d’ozono non include ancora il tema dei viaggi spaziali: l’invito della comunità scientifica internazionale è unanime, e punta a rivedere la centralità di tale fenomeno nell’ambito delle emissioni pericolose per l’ambiente.
Alessandra Caraffa